Sono ormai quasi sette secoli che il Castello Ducale di Corigliano domina l’ingresso meridionale della piana di Sibari, di quella che fu la più celebre e fertile pianura della Magna Grecia. Nel sovrapporsi stratificato delle sue pietre si può leggere il succedersi degli occupanti, i mutamenti di gusto, il lento evolvere da una funzione prettamente militare ad una residenziale, pensate pur sempre per i signori del luogo. Il progetto di recupero del Castello si è posto come primo obiettivo quello di far parlare le pietre, far loro raccontare la propria storia: un lavoro di ricucitura e di sottolineatura che non voleva eludere lo scopo fondamentale di ogni restauro, il riuso. La presenza ancora viva dell’eco dei suoi ultimi proprietari: i mobili, gli affreschi, alcuni ambienti in buono stato di conservazione - come il Salone degli Specchi, la Sala da Pranzo, la Cappella S. Agostino, le Cucine Ottocentesche - hanno suggerito un ritmo discreto nel riuso, tale da non rompere quell’aura di vissuto. Un museo dunque, ma anche un luogo in cui i cittadini della Sibaritide possano riconoscersi e vivere in modo confortevole il rapporto con la propria memoria e la propria cultura. A questo riguardo, nell’intervento si è voluto rimarcare la valenza straordinaria del paesaggio, dello sguardo che dal Castello spazia sulla piana di Sibari, ricca di storia e non priva di mistero. Memoria, sguardo, esperienza vissuta, riappropriazione: questi strumenti simbolici hanno indirizzato la strategia progettuale. La Biblioteca della Magna Grecia, il Museo dell’Immagine (l’Archivio Sanseverino-Saluzzo-Compagna), i Musei, il recupero funzionale di alcuni ambienti, come il Salone degli Specchi e le Cucine, un punto vendita di prodotti locali e ristoro-book shoop, spazi per mostre ed esposizioni, spazi all’aperto per spettacoli, sale per conferenze, la possibilità di officiare matrimoni sia religiosi che laici, ne sono i risultati concreti. L'orizzonte, l’alto ed il basso hanno invece suggerito alcune soluzioni particolari, come il binocolo puntato sulla Piana di Sibari ed in grado, grazie ad un computer, di far viaggiare nello spazio e nel tempo, o il telescopio sulla cima del maschio che, pilotato da un software, fornirà il cielo di oggi e quello del 510 a.C., data di distruzione dell’antica Sibari. Nell’andito più profondo dei sotterranei, una voce leggerà il testo delle laminette auree di Turi, testimonianze legate probabilmente ai misteri eleusini, tra le più dirette della credenza dei greci nell’al di là. Quando non si presentavano le condizioni per un restauro integrale, si è deciso di rimarcare in modo chiaro, ma discreto, ogni intervento, dove possibile impiegando maestranze e materiali locali ricondotti ad elementi geometrici, in modo tale da evidenziare la funzionalità delle soluzioni proposte in sintonia con le nuove destinazioni d’uso e con la necessità di raccordarsi con norme di sicurezza ed impiantistica contemporanea. I toni caldi e smorzati, l’uso del legno, vogliono accentuare il senso di vivibilità e di comfort dell’insieme. di Mario Candido, Leonardo Scarcella, Giuseppe Smeriglio.